SOS Rosarno
La Statale 18 inizia a Reggio Calabria e finisce a Napoli. La percorreremo tutta.
Iniziamo la risalita in questo neonato Ottobre con il cielo scuro e i colori lividi, passando paesi e paesoni dove l’arretramento economico e sociale è talmente evidente da non lasciarci troppi argomenti di dibattito. C’è tanta sporcizia, una casa su due è semi costruita e, cosa più importante, le facce che scorgiamo hanno occhi duri e rassegnati. E’ uno spettacolo doloroso, dobbiamo ammettercelo.
Poco dopo Gioia Tauro e il suo porto, entrato nel novero dei fatti importanti della mafia del ‘900, la strada si propone in un raro rettilineo, figlio della posizione pianeggiante e, ad un certo punto, si entra quasi senza accorgersene nella celeberrima Rosarno. La città della “rivolta”.
Rosarno è un paesone che incarna e amplifica tutte le sensazioni che avevamo avuto arrivando qui, aggiungendo a questo una forte presenza di ragazzi africani armati di ruderi di biciclette e il nome stesso del posto, diventato autoevocativo dopo il 2010, l’anno dei “fatti”. Come il resto della Provincia di Reggio, anche questo non è un posto tranquillo, nel senso che il livello e la tipologia di conflitto e di contrapposizione tra interessi di ogni natura, sembra raggiungere un mix esplosivo come in pochi altri luoghi. Per un attimo il pensiero ci vola a certi paesini del Nord della Francia dove avevamo pensato, seduti tra la pace e la serenità da presepe, si ottengono problemi opposti per l’assenza di dinamiche umane. Gli uomini sono ingranaggi, a volte si fermano, altre girano all’impazzata, rischiando di rompere tutto.
Quando arriva a prenderci Giuseppe, lo riconosciamo subito: ha uno sguardo diverso e un sorriso luminoso. Ci scorta fino alla Cooperativa Frutti del Sole, dove vengono lavorate e spedite le arance, le clementine e gli altri prodotti biologici della campagna Sos Rosarno) e dove vengono impiegati lavoratori “non solo africani” – così ci dice.
In questo momento le macchine sono ferme, perché gli agrumi non sono ancora maturi, ma ci spiega come funzionano e che lì non può entrare niente che non sia biologico. “Biologico”, al di là dell’etichetta, al di là degli aspetti di un prodotto che sia sano e privo di sostanze chimiche, al di là del suo sapore più buono e intenso, è una dimensione di rispetto per la terra e per il lavoro dell’uomo. “Biologico”, prima che avere a che fare con un consumo critico, ha a che fare con una produzione critica, che qui a Rosarno assume caratteristiche ulteriori, determinanti.
Giuseppe ci spiega che qui i migranti arrivano da molti anni, alla ricerca di un lavoro, in una zona in cui la principale fonte di economia è l’agrumicultura, seppure in decennale declino. L’impiego di braccianti africani si svolge per lo più in un regime di sfruttamento e di caporalato, oltre che in un contesto di forte diffidenza per lo straniero, figlia della non conoscenza reciproca, voluta e seminata da chi “sugli immigrati ci ha marciato su perchè garantiva consenso” e che può sfociare, purtroppo, in intolleranza e razzismo.
Le prime aggressioni, però, non risalgono al 2010: aggressioni, più o meno gravi, a danno soprattutto di africani, non sono state rare nel corso degli anni, così come in questi territori, non è raro, nemmeno tra gli autoctoni, l’uso della violenza come strumento per dirimere controversie. Finché quell’anno hanno risposto alle violenze subite, con la violenza. Ad attaccarli non era la mafia – a cui certo non conviene accendere fuochi e riflettori – ma l’ignoranza delle persone, la difficoltà di ritrovarsi da un giorno all’altro a convivere con tantissimi “altri”, persone disperate che sfuggono dai loro paesi perché lì non ci sono più le condizioni per campare o da guerre e persecuzioni, quasi sempre sostenute e incoraggiate dai paesi “civili e moderni” ). Si trattava di violenze gratuite, magari figlie di ignoranza e intolleranza, forse volte solo ad affermare un bisogno di supremazia, sottovalutate dalla stessa mafia che probabilmente non aveva previsto una “reazione”. Reazione dei migranti che, stanchi di subire maltrattamenti e sfruttamenti, è arrivata con ferocia. Si sono ribellati, riversandosi per la cittadina con quel tipo di rabbia che noi rampolli occidentali, più o meno sensibili, più o meno militanti, non possiamo neppure lontanamente immaginare cosa sia, e cosa sia provarla.
Quei fatti tragici, quella scintilla che è scoppiata a Rosarno ma che poteva innescarsi da qualsiasi altra parte in Italia, ha semplicemente tolto il coperchio da una pentola che bolliva da molto tempo: fecero conoscere all’Italia e al mondo intero, cosa c’è dietro l’agricoltura, chi e in che condizioni raccoglie i frutti che arrivano sulle nostre tavole e fecero comprendere definitivamente il disastro sociale globale scatenato dalle teorie economiche neoliberiste, che hanno bisogno di subalternità e disagio per aumentare sempre più profitti per pochi e povertà per molti.
“Dopo questi fatti realizzammo che quella guerra tra poveri a cui stavamo assistendo, con la solidarietà e la denuncia che avevamo fatto fino ad ora, non avremmo mai potuto scalfirla: difficilmente molti di quelli che si scagliarono contro i neri avrebbero compreso che quei neri non erano i loro nemici ma dovevano essere i loro alleati naturali. Bisognava fare altro, bisognava incidere dal punto di vista economico e questa pratica avrebbe avuto ripercussioni anche sull’aspetto sociale. C’era bisogno di un qualcosa che desse la possibilità di rimanere in questa terra, per difenderla da aggressioni e devastazioni. Fu così che alcuni attivisti di Africalabria – Rosarno e i compagni Centro Sociale Ex Snia di Roma, in particolare il caro Dario Simonetti, iniziammo a ragionare sulla necessità di costruire un modello sociale ed economico alternativo, nel quale locali e immigrati, potessero incontrarsi e non scontrarsi. Parlammo con qualche piccolo produttore che già conoscevamo, non per redimerlo, ma per proporgli di praticare insieme l’utopia e fu così che nacque la campagna Sos Rosarno. Un progetto che grazie al sostegno dei Gruppi di Acquisto Solidale riesce a dare risposte a tutti gli attori della filiera: produttori, consumatori e lavoratori”.
Questo significa non solo produrre frutta sana, ma anche un lavoro sano, in cui i costi sono tutti trasparenti e sostenibili in tutto il percorso che va dal produttore al consumatore e in linea con i salari dagli accordi provinciali per il lavoro in agricoltura, un fatto rarissimo, quasi esotico, ci spiegano.
Una serie di fattori economici, tra cui il lavoro a basso costo e i costi occulti legati alla raccolta industriale degli agrumi, generano un meccanismo perverso e una spirale di mancanza di lavoro, tanto che molti agrumeti sono stati abbandonati e invasi dai rovi. Il punto non è fare la carità ai poveri migranti, ma valorizzare il lavoro di tutti, la terra e l’uomo, spezzando quella prassi di disprezzo nei confronti della natura nel suo senso più ampio, che non è solo quella in cui l’essere umano vive, ma quello che egli stesso è. SOS Rosarno, si batte dunque insieme ai migranti, non semplicemente per loro, per rompere le dinamiche economiche di un sistema che si fonda sullo sfruttamento senza fondo della terra e dell’uomo. Ci tengono a precisare che loro sono solo una goccia nel mare, e che quello che stanno facendo e continuano a fare è tutto in divenire, ma ce la mettono tutta. SOS Rosarno insomma non è la portavoce dei migranti, ma è portavoce di quei diritti che spesso la nostra economia tutta basata sul profitto e sull’accumulazione ignora per sua stessa natura.
Andiamo a visitare la vecchia tendopoli, dove i migranti vivevano fino a pochi mesi prima. Ne rimane un cumulo di stoffa, coperte, sacchi a pelo, giacche e scarpe, per metà bruciati: un giorno lo Stato è arrivato con le ruspe e ha distrutto una struttura costata un milione di euro, e l’ha abbattuta perché lì non poteva più stare. Ne ha costruita un’altra proprio dall’altra parte della strada.
Giriamo per Rosarno e per la campagna. Vediamo posti, ascoltiamo fatti, comprendiamo quanto sia facile l’innescarsi di dinamiche di alienazione e violenza. Fuori dal finestrino vediamo uno spettacolo umano difficile da digerire o afferrare fino in fondo. In tutto questo sfacelo stanno i militanti di SOS Rosarno e provano ad organizzare una risposta. Raccontandoci per ore la loro storia finiscono per usare un’espressione che ci è cara e che mantiene intatta la sua forza anche dopo tanti anni: “un altro mondo possibile”.
SOS Rosarno è un’associazione che raccoglie alcuni piccoli produttori locali che hanno scelto di intraprendere un percorso di recupero della dignità loro e dei braccianti attraverso alcuni cardini che, di fatto, non sono presenti nel capitalismo selvaggio che qui sta distruggendo terra e uomini. Questi punti fermi sono allo stesso tempo strumenti economici e politici e vanno da un profondo antirazzismo, alla coltivazione biologica della terra, alla pastorizia, all’artigianato locale, alla pratiche connesse alle reti dei GAS, al turismo responsabile e sostenibile. Il tutto messo in rete tra loro e in rete a sua volta con realtà analoghe del Sud e del resto del Paese. Non è un caso che li rincontreremo a Città di Castello, per Altrocioccolato e che la loro presenza ci è stata segnalata da Viaggi e Miraggi, due realtà che non nascono certo in Calabria. La capacità di fare rete a tutti i livelli è quindi una delle armi a disposizione dell’Associazione, dove sono confluite realtà e conoscenze diverse, animate da un intento comune e da una spiccata consapevolezza politica.
Da Michele, dove passiamo la notte, ci viene offerto un potente spaccato della resistenza calabrese. Qui c’è la Fattoria Sociale dove lavora, fa il vino, raccoglie le olive, insegna ai bambini e ai ragazzi delle scuole, organizza incontri e scambi culturali, ospita i turisti. Al nostro arrivo la gigantesca tavolata sotto il porticato brulica di persone. Ci sono i ragazzi africani che hanno cucinato un ottimo piatto della loro terra, chi suona, chi ha staccato dalla Cooperativa, chi ha portato il formaggio fresco fatto tra i monti dietro Capo Vaticano, chi è accorso qui per stare insieme. Qui non ci sono i volti scuri che ci adocchiavano al passaggio sulla statale. Sono persone dagli occhi grandi, pronte tanto al sorriso quanto alla lotta. Qualcosa che ricorda quei film dove c’è una base segreta di ribelli in lotta contro qualche impero oppressore.
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