Tra Ve.Le. tese e “mode” ecologiste. Sul boom dell’uso della bicicletta
di Claudio Pozzio Mancini
Loro vanno a miscela, io a pedali, ma sempre di stare in equilibrio su due ruote si tratta.
E quella curiosità verso tutto quello che esiste tra la partenza e l’arrivo, quella voglia di raccontarne la bellezza, quel senso del doversi guadagnare un luogo scorrendovi lentamente al suo interno in punta di piedi, pardon, di ruote, insomma quella concezione del Viaggio, è il medesimo.
Così mi sono unito al loro viaggio per la fine del tracciato Adriatico, per condividere un po’ di polvere e racconti a spasso per il Salento.
La bici designata per la trasferta odorava ancora dei chilometri francesi e spagnoli appena percorsi, ma non faccio in tempo a caricarla che me la rubano. Prendo quindi la city bike di Gianluca come mezzo sostitutivo. Ritrovo la mia per grazia divina, con quella mi presento alla stazione pullman di Tiburtina ma si rifiutano di caricarmela. Cerco allora dei treni per Taranto, sfianco l’assistenza clienti Trenitalia, ma il verdetto è quello già previsto: lo smontaggio completo della bici e le costose Frecce non valgono la candela di una tre giorni mordi-e-fuggi, e viaggiare con i regionali richiederebbe cambi spalmati nell’arco di una ventina di ore. Ma la mia cocciutaggine ha il sopravvento, ergo mi munisco dell’altra pieghevole di Eleonora e torno alla biglietteria delle Autolinee Marozzi. Questa volta pare vada bene. Devo solo convincere il burbero conducente, che alla fine la imbarca come fosse un favore personale.
Insomma, arrivare da Roma a Taranto con bici al seguito sembra essere un’impresa titanica, un percorso a ostacoli che la miopia delle politiche di trasporto non ha intenzione di facilitare. Per di più, viaggiare con bagagli al seguito sulle ruotine della pieghevole non è la cosa più agevole e indicata per tappe da 80/100 km. Sembro un orso da circo, e i miei piedoni sbattono sulle sacche laterali.
E quando alla mia partenza l’alba color rosso Ilva investe Taranto, l’accoglienza è ben poco bike-friendly. L’uscita dalla città per le superstrade è quasi obbligata, il traffico feroce, chiunque si sposti a meno di 30 all’ora non sembra essere contemplato.
Quasi per caso, un po’ per ostinazione, questo viaggio ha assunto un carattere provocatorio, di sfida. E così la celebre battuta in Frankenstein Junior, “si può fare!” si fonde con la protesta, “non si deve fare, non così”. Specie alla luce del fatto che le cose si stanno lentamente muovendo. Penso al progetto Ve.Le., il cui acronimo sta per Venezia / Lecce: la pista ciclabile più lunga d’Italia, costruita riadattando la vecchia linea ferroviaria adriatica. Un percorso a tasselli lungo 1.200 chilometri, con le sue difficoltà burocratiche, già esistente in molti tratti, ma che vedrà il suo completamento chissà quando. Una grande arteria che sarebbe solo un inizio di ciò che dovrebbe essere, un primo e difficile passo che è frutto di una tendenza generalizzata più o meno in buona fede, ma BEN VENGA.
Sarà la crisi, sarà il costo della benzina, sarà semplicemente una coscienza ecologista miracolosamente riesumata dal suo letargo, ma la bici è tornata di moda. E dopo vari decenni di relegazione ad uso ludico e alla passeggiata domenicale, è stata riscoperta come mezzo di trasporto, come ai tempi prebellici.
Uso la bici per Roma da più di dieci anni, e la sensazione di essere visto come un ufo, o come un simpatico fenomeno folkloristico e un po’ sfigato la conosco bene.
“Ma un motorino no?”
“Ma come te va?”
“Ma con tutte le salite che ci sono a Roma?”
“Ma è pericoloso!”
Gli stessi che magari hanno fatto incidenti in motorino ben più pericolosi, o che per sudare preferivano pagare una palestra, o che magari oggi si sentono fichi su una scatto fisso nuova fiammante. Ma BEN VENGA.
Se il risultato finale è che per la prima volta in Italia il mercato della bicicletta ha superato negli ultimi due anni quello dell’automobile, ben venga.
Se il neoeletto sindaco di Roma Ignazio Marino sceglie di sfruttare l’ondata ciclomane “pedonalizzando” i Fori per finta, traendone i prevedibili benefici mediatici e relative critiche, ben venga. Il che non vuol certo dire ci accontentiamo, piuttosto significa che è una prima, in buona parte illusoria conquista, nonché uno stimolo per continuare a cambiare le cose. Per questo il giorno prima di partire mi trovavo a OccupyFori a bloccare il traffico.
Sono dell’idea che questo mezzo a pedali debba unire la gente, non distinguerla. Non uso la bici per sentirmi diverso dagli altri, ma (anche) preferirei che gli altri fossero uguali in questa scelta.
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