Oltre Gomorra
E’ strano vedere il proprio tempo con i propri occhi. Siamo imbevuti di un racconto posticcio e deforme, siamo carichi non tanto di bugie, ma di deformazioni, della mancanza di una chiave di lettura reale. Siamo senza intellettuali, questa è la verità, e quindi non abbiamo nessuno che ci restituisca degli strumenti di interpretazione. E il nostro tempo vola via, senza appartenerci davvero. Senza coglierlo mai. Con la nostra Vespa abbiamo visto le torri dell’Ilva di Taranto, i cancelli serrati di Termini Imerese, le tendopoli di Rosarno, la base del DalMolin, l’alluvione delle Cinque Terre, le fabbriche meno chiuse di quello che ci hanno raccontato e quelle mai aperte. I fiumi e i mari meno inquinati di quando eravamo bambini e tante scuole di danza, per i ragazzi cresciuti col mito della De Filippi e convinti che la loro determinazione si possa indirizzare nel sogno del successo facile, televisivo. Siamo passati vicino all’Italia profonda, scoprendo quanto sia distante il racconto che ne restituiscono le telecamere e i giornalisti, le pubblicità e le trasmissioni di inchiesta. Quanto tutto sia più semplice in quanto reale e più complicato, in quanto umano. Non c’è la pubblicità tra un paese e un altro: c’è solo l’Italia.
Così, quasi alla fine del nostro viaggio, siamo infine arrivati in quello che ci era stato raccontato come il male assoluto, un luogo di morte e disperazione da cui stare lontani. La sera del 9 Ottobre entravamo a Casal di Principe, in provincia di Caserta. La famosa “gomorra”.
Luigi, di Banca Etica e Viaggi e Miraggi, che ci accompagna, ci chiede se abbiamo paura. É il primo a farlo, tra quelli che ci hanno portato nei luoghi più difficili, tra buchi fatti con le pistole, resti di esplosioni e racconti imbevuti di violenza. Sì, in effetti un po’ ne avevamo. Il faccione di Saviano stava là, a ricordarci di “Sandokan”, dei rifiuti interrati, degli AK-47 e di tutti gli aspetti tristi e spettacolari che ha senz’altro contribuito ad associare, ormai, a questi luoghi. Non che la camorra l’abbia inventata lui o che abbia fatto male a raccontare. Diciamo solo che anche in questo caso la lettura che avevamo era distante da quello che ci passava intorno. Casal di Principe, insomma, non è un incubo. Una distanza reale rispetto a un paese reale.
Entriamo così nella NCO, Nuova Cucina Organizzata, un ristorante aperto in uno stabile confiscato alla mafia dove il nome fa il verso alla Nuova Camorra Organizzata di cutoliana memoria. Ruota attorno al Comitato Don Peppe Diana, che riunisce le realtà che sono insorte contro la gestione economica e territoriale dei clan e fa parte del progetto Nuova Cooperazione Organizzata.
Ci accoglie Peppe, un ragazzo forte, sorridente, con un’intelligenza “fisica”, gestuale. Al primo piano lavora con i malati psichiatrici. Saliamo. Anni fa, da queste parti, c’era il manicomio di Aversa, orribile e spaventoso come e più delle altre strutture di contenimento volute dallo Stato e abolite grazie a Basaglia. Oggi alcuni malati stanno con Peppe in quello che fu un edificio a disposizione dei clan. È proprio qui il segreto della serenità che troviamo tra le stanze della struttura. L’assenza del contenimento e la scommessa del rinserimento sociale attraverso il lavoro, la comunità, la relazione con il quartiere. Fa strano trovare qualcosa del genere quaggiù (“ci hanno detto che qui i risultati sono migliori che a Trieste”, dove Basaglia ha lasciato un grande lascito), a “gomorra”, nella “terra dei fuochi”, nel “regno di Sandokan”. I “pazzarielli” sorridono, giocano con Peppe, parlano con lui e con noi. “Sarebbero casi gravi”, ci spiega lui. Anni fa situazioni del genere li “curavano” a botte di psicofarmaci e corrente elettrica.
Scendiamo e ci sediamo a tavola, al ristorante della NCO, che è davvero ottimo. Qui continuiamo a discutere fino a tardi con Luigi, Lucrezia, Peppe e tanti altri attivisti che nel frattempo ci hanno raggiunto e stanno là a raccontarci di quello che succede dalle loro parti, dei progetti, delle idee. Sarà che quando le situazioni sono difficili si accende il genio umano, che qui in Campania ha parecchi figli e amici. Il problema del momento è quello dei rifiuti interrati e scoperti recentemente. Un dramma immenso che ha reso inutilizzabili ettari di suolo un tempo fertile come non ci sono altri luoghi nel paese. “Gli imprenditori del Centro-Nord hanno sversato qui fanghi industriali e sostanze tossiche, con la complicità dello Stato e la manodopera della malavita. Massimo profitto e completo disinteresse per il bene collettivo, ci sono molti parallelismi istituibili tra capitalismo e camorra” ci dice Peppe sorseggiando un bicchiere di vino bianco fatto a Cisterna, dopo i Castelli Romani, in un terreno confiscato alla mafia. Ora questi terreni inquinati saranno in parte bonificati, in parte catalogati come “no-food”, ossia destinati a colture non alimentari, mentre quelli sani riceveranno un certificato che ne attesterà l’utilizzabilità, al punto che si potrà dire che “mangiare sano significa mangiare campano”.
Assieme alla Cooperativa La Prima, in cui lavora anche Luigi e che si occupa di immigrazione e minori in difficoltà, e a decine di altre realtà, hanno tirato su un progetto straordinario che si chiama “facciamo un pacco alla camorra”: una confezione di prodotti tipici locali realizzati da realtà produttive impegnate in prima linea contro la mafia. Un progetto coraggioso e dal potenziale comunicativo enorme. “Il peso del pacco rimpicciolisce imperi e roccaforti”, recita la brochure. Ancora una volta torna la rete come strumento politico, come prassi. L’unica capace, ci spiegano, di vincere la paura della solitudine e dell’isolamento, grazie al quale la cultura camorristica riesce a tenere in scacco interi territori.
Nascono così nuove pratiche ad alta innovazione sociale, in un posto dove il calore umano e le reti umane sono così fitte da poter superare il dramma degli anni passati e finire per rappresentare un nuovo modello economico e culturale che abbia nuovamente l’uomo al centro, degno di potersi definire tale.
- tracciato della magna grecia
- Campania
- 40° giorno di viaggio
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